Valerio Bianchini: “Le società si pongano degli obiettivi”

Da: Il Piccolo di Trieste del 29.09.2016

Mito della nostra pallacanestro, uno degli ultimi veri intellettuali a tutto tondo: Valerio Bianchini è uno che allinea pensieri e dichiarazioni, parlando di italiani, giovani e tradizioni.

Un grido di dolore, un’esortazione, un tifo sfrenato per la Reggio degli italiani. Valerio Bianchini si schiera apertamente per la valorizzazione del prodotto italico. Esigenza per rilanciare il movimento azzurro o presa di coscienza di una deriva…globalizzata?

L’economia insegna, nei momenti difficili bisogna reinvestire sulle proprie qualità, esaltare le risorse. Se l’Italia ha perso terreno sul piano industriale, non può prescindere da valori atemporali come il gusto e la creatività. La pallacanestro ha fatto l’errore di globalizzarsi a discapito della qualità, banalizzando il concetto di mercato aperto. Allora la questione assume caratteri grotteschi quando poi ci si ritrova ad incensare competenze italiane in giro per il mondo come Messina, Scariolo, Trinchieri o giocatori del calibro di Hackett, Melli e Datome. La Nazionale è simbolo di questa incapacità di darsi una identità: si organizzano spedizioni federali per pregare le “stelle” NBA, invece di lavorare per allargare una base responsabilizzata di atleti nostrani.

A proposito di italiani, la serie A2 da un po’ che perora la causa… che ne pensa?

Continuo a restare seriamente preoccupato per la serie A1, in cui la società di punta (Milano ndr.) decide di investire su giovani italiani di punta, ben sapendo però che gerarchicamente potrebbero stare fra gli “sventola-asciugamani” e i complementi da “garbage-time”. In A2 invece il percorso intrapreso è quello giusto, ma anche qui con dei distinguo: bene che ci siano solo due stranieri e il resto del gruppo italiano, purchè non ci sia l’idea forte del quarantenne da svernare piuttosto che il giovane da lanciare. La LNP deve porsi un obiettivo dichiarato: sfruttare questi campionati per preparare i giocatori al professionismo.

Italiani bistrattati, procuratori egemoni, ma nessuno ha fatto un esame approfondito di come gli italiani lavorino per emergere. Si è fatto un’idea della generazione nuova che si approccia alla pallacanestro?

Non demonizzo le giovani leve, e non penso che manchi in loro la volontà di emergere. Devono solo essere messi nelle condizioni di poter intraprendere un percorso di crescita senza saltare gli studi e vivere con la paghetta del nonno, avendo palestre e istruttori adeguati, avendo il futuro un po’ più sgombro da presenze…esotiche (stranieri ndr.).

Trieste è da anni che riesce a reggere la categoria grazie all’investimento dei prodotti locali (Spanghero, Ruzzier, Tonut, Coronica ecc.). Contingenza economica, bacino fertile, ma c’è realmente la possibilità di sussistere con le proprie forze con un minimo di programmazione?

Ci dovrebbe essere sempre questo tipo di “modus operandi” nelle società di A2, che non hanno il mecenate per ambiziosi traguardi o un consorzio strutturato e solido. Trieste per nobiltà cestistica e bacino florido può avere un vantaggio alla base, le altre comunque possono concorrere ad investire nei prodotti locali, traendo beneficio alla distanza. Anche la Fortitudo Bologna sta facendo questo tipo di percorso con risultati brillanti, e non a caso è un’altra nobiltà della palla a spicchi.

Se le dico Trieste e Treviso, cosa le viene in mente?

Non posso pensare a Trieste senza pensare al maestro Cesare Rubini. Si, certo, in epoche recenti mi passano davanti agli occhi quel manipolo di talenti orchestrati da Boscia Tanjevic in un Rinascimento cestistico giuliano, o gli ultimi fulgidi esempi di produzione autoctona come Stefano Tonut. Treviso la penso come un’ eccellenza europea, un marchio radicato e appassionato che ha scritto pagine storiche di pallacanestro e personaggi clamorosi come Kukoc, Del Negro, Rebraca, Obradovic. Ma soprattutto è un esempio di lungimiranza e progettualità, materializzate nella magnifica “Ghirada”.

Raffaele Baldini