La formazione cestistica azzurra: a che punto siamo

Fonte: basketnet.it a cura di Enrico Petrucci

Da qualche tempo, mese e forse anno, per cercare di spiegare l’involuzione a livello di club del basket tricolore sono passate sotto la lente d’ingrandimento le diverse tematiche ed i possibili punti nevralgici per ottenere un miglioramento. Quello su cui ci vogliamo concentrare in questo pezzo è ciò su cui è focalizzato il nostro progetto Players Profile: il settore giovanile.

Facciamo il punto della situazione: il nostro movimento ha intervallato luci e ombre nel 2015/16 ed in generale nelle ultime annate. Nell’estate appena conclusasi abbiamo riscontrato la crescita ed il sostanziale grande successo della pallacanestro rosa: l’U20 argento agli europei, piazza d’onore anche per l’U17 ai mondiali di categoria. Risultati veramente importanti e forse un po’ passati sottotraccia. Zandalasini e Madera sono state rispettivamente per le due squadre i simboli di un’Italia che con tanto cuore (ma anche tanta qualità) ha saputo reagire pure in momenti di grande difficoltà.

Un’altra estate a secco di medaglie per i ragazzi, seppur privata della competizione continentale U18 spostata a dicembre per i problemi politici che hanno interessato la Turchia, nazione ospitante della manifestazione. Gli U20 hanno giocato male la fase a gironi degli europei che, seppur inutile a livello di qualificazione, li ha costretti all’impresa contro la Serbia agli ottavi e a fronteggiare una nettamente superiore Turchia ai quarti, capitolando di fronte a Yurtseven e compagni. L’U16 ha raggiunto un settimo posto che è ormai diventato standard delle nostre rappresentative: insomma, quasi sempre dentro alle prime 8, ma raramente picchi di prestazione.

L’ultima vera grande impresa dei ragazzi azzurri è stato l’oro nel mondialino di Mannheim per la categoria U18 di coach Capobianco, un torneo nel quale la classe italiana ’96/’97 aveva fatto capire di essere una delle migliori degli anni ’90. Ottimo anche il terzo posto ottenuto nella passata stagione (2016), dove l’annata ’98 di Davide Moretti ha dimostrato che il basket azzurro può essere davvero competitivo anche a livello europeo/mondiale.

Tuttavia per quanto giocatori come Mussini e Flaccadori (due degli “eroi” di Mannheim 2013) siano oggi fondamentali rispettivamente in una storica squadra di NCAA Division I come St. John’s ed una da play-off di serie A come Trento, nessuna medaglia è arrivata a livello di Europeo e Mondiale giovanile nella loro carriera juniores.

La Spagna è un rullo compressore in questo tipo di manifestazione, la Turchia è solita a buoni risultati, persino la Bosnia è riuscita a portare a casa un oro europeo nel 2015 con gli U16 di Musa e dell’“italiano” Sikiras. E’ vero, a livello internazionale non vinciamo.

Ma siamo proprio sicuri che il problema risieda nel mancato successo internazionale a livello di squadra? Qual è il vero obiettivo di un movimento giovanile? Preparare i ragazzi per il mondo seniores? Crescere giocatori per la nazionale del futuro? Oppure semplicemente asfaltare gli altri paesi in tenera età?

Proprio il mondo cestistico iberico sta vivendo un apogeo dal punto di vista giovanile, ma fatica ad attuare il cambio (o meglio l’upgrade, in quanto Gasol è stato come sempre trascinatore a Rio) generazionale che forse avrebbe garantito alle furie rosse di giocarsela in finale contro gli States ai Giochi Olimpici.

Certo, la nostra nazionale non si è neanche qualificata per le Olimpiadi (tasto ancora dolente per tutti noi) e solo 3 giocatori erano Under 25 (Gentile, Cervi e Melli), ma le basi per essere tra le migliori 12 al mondo le avevamo e siamo andati ad un punto dal raggiungere il sogno olimpico. A prescindere dal fatto che alla fine a Rio ci sia andata la Croazia, la nostra squadra era sulla carta oggettivamente almeno di egual livello e possiamo parlare quanto vogliamo, ma nonostante si trattasse della partita più importante della carriera di molti nostri giocatori, era pur sempre una partita secca e in queste situazioni tutto può succedere. E’ vero, abbiamo fallito, ma ciò non vuol dire che dobbiamo imitare altre nazioni o copiare le loro scelte per essere un movimento all’altezza. Le altre nazioni competitive non sono certo di un altro pianeta rispetto al nostro: possono avere tempistiche differenti, possono avere metodologie differenti, ma non così evidentemente superiori e radicalmente diverse.

Perciò dobbiamo continuare a lavorare in casa con un occhio attento a ciò che accade fuori, perché l’apertura mentale ad altre realtà non è l’unica cosa che conta, ma è altresì importante.

E forse smettere di pretendere troppo da ragazzi di 13/14/15 anni: il lavoro di noi addetti ai lavori è importante per farli conoscere meglio a chi di dovere e a far capire ai giovani stessi che con il duro lavoro in palestra anche loro forse avranno una chance nella pallacanestro, ma non deve diventare un auto-celebrazione dei nostri talenti che non fa altro che stimolare in loro delle convinzioni di superiorità che possono inibire la loro crescita cestistica (assolutamente comprensibile per ragazzi di quest’età).

Noi stiamo cercando di creare questo su PP: una maniera imparziale di distribuire informazioni utili alla crescita di ragazzi e società. E crediamo proprio che le basi per farlo ci siano.