
Fonte: La Provincia di Varese, di Fabio Gandini
«Signore e signori, vorrei farvi sapere che quest’uomo ha un sorriso che accende lo schermo televisivo da San Diego, California, a Bangor, Maine. Il suo nome è Magic Johnson». Immaginatevi la scena: Brent Musburger, veterano dei cronisti al seguito della lega Nba, annuncia al mondo il debutto in pubblico di un mito planetario della pallacanestro.
È il novembre del 1979: vicino a lui c’è un ragazzone di 206 cm che esibisce uno “smile” che sembra la luna crescente delle sere tiepide di maggio, biglietto da visita di una persona, prima che di un giocatore, di quelle che nascono una volta ogni cinquant’anni. Almeno. Segno e sono felice Quasi trentasette anni dopo, in un’altra parte del globo terracqueo, al piccolo mondo antico varesino si è svelato un giovane virgulto che in comune col Mito non ha solo il cognome importante (ancorché diffusissimo oltre Oceano), ma anche una copertina dell’anima (che altro è un sorriso se non questo?) capace di sbocciare e di illuminare un’intera stanza. Signore e signore, dunque, ecco Melvin Johnson.
Di professione tiratore? Non esattamente (nonostante il record universitario di 285 triple segnate parli in tal senso): «A me interessa segnare, che sia tirando da fuori o in altro modo poco importa». E le prime amichevoli giocate dal nostro – quelle che il contrattempo al polpaccio gli ha concesso di disputare – lo hanno confermato: attacca il ferro, ha un primo passo in penetrazione capace di procurarsi vantaggio, sa usare il fisico come perno per conquistare contatti e falli. Rookie, quindi punto interrogativo per antonomasia fino a eventuale deflagrazione per gli occhi questuanti dei tifosi, al di là delle peculiarità tecniche ha già capito quale sia la strada giusta per un viaggio proficuo: «L’unica cosa che deve fare un esordiente è ascoltare e mettere in pratica ciò che gli viene detto».
Al cospetto dei giornalisti, il prodotto di Virginia Commonwealth University chiarisce anche i retroscena del suo arrivo sotto le Prealpi: «No, non me lo ha consigliato Eric Maynor (suo predecessore ai Rams ndr) di venire qui – spiega la nuova guardia biancorossa -Dopo aver firmato con Varese, però, l’ho letteralmente martellato di messaggi, sentendolo tutti i giorni: volevo essere sicuro che firmasse anche lui». Cuore e famiglia hai capito? Le partite di Lucca dello scorso weekend hanno già effettivamente evidenziato una certa affinità tra i due, con il playmaker classe 1987 bravo nel ricavare spazi – con sapienti ribaltamenti – per il tiro mortifero del suo discepolo. In attesa di ammirare ulteriori progressi e di capire davvero cosa Melvin Johnson potrà dare alla causa varesina, in un ruolo che negli ultimi anni ne ha viste passare di cotte e di crude (da Aubrey Coleman a Ramon Galloway), la chiacchierata di ieri è servita a scoprire anche l’uomo che si nasconde dietro l’atleta, sorriso a parte: «Fuori dal campo mi piace nuotare, andare in bicicletta e guardare Netflix. E sono tanto legato a mia sorella e mia madre, che ora si sveglia alle tre di notte per poter parlare al telefono con me».
Ah, e poi c’è il cibo: «Se ne avessi la possibilità mi porterei in America tutte le cose buone che mangio qui. Vado pazzo per la vostra cucina». Fonti non ufficiali dicono che il primo colpo di fulmine in tal senso ci sia stato a Chiavenna: «qualcuno ha detto pizzoccheri? Cosa mi piace di più del vostro paese? Facile: la cucina».