Luigi Lamonica risponde sulla questione “anzianità” tutta italiana…

Fonte: www.roseto.com a cura di Luca Maggitti
Luigi Lamonica, l’arbitro italiano più titolato di sempre – 1 Finale Mondiale, 2 Semifinali Olimpiche, 5 Finali Europee, 4 Finali di Eurolega, 3 Finali di Eurocup, 21 Finali Scudetto, 9 Finali di Coppa Italia, oltre a tante altre finali giovanili e semifinali senior – per quanto riguarda il Campionato italiano di Serie A è andato in pensione, per limiti di età, al termine della stagione 2015/2016. Continua invece il suo impegno in Eurolega ed Eurocup.
 
Dopo il primo mese a “mezza pensione”, gli abbiamo fatto questa intervista.
 
Luigi, dopo quanti anni torni a vivere dei fine settimana “normali”?
«Ho iniziato ad arbitrare a 13 anni. Certo, i primi anni nei weekend arbitravo qualche volta mattina e pomeriggio, ma erano partite regionali. Quindi, diciamo che dalla stagione 1987/1988, anno del primo campionato nazionale,  ho avuto i fine settimana piacevolmente impegnati dagli arbitraggi».
 
In pensione per la Serie A, abile e arruolato in Eurolega e Eurocup: come vivi questo “ritiro a metà”?
«Come un privilegio. Tra centinaia di amici, conoscenti, addetti ai lavori, forse ero l’unico a sapere che il limite di età non sarebbe stato cancellato neanche questa stagione. Nella mia testa mi sono preparato, negli ultimi 5 anni, perché avevo esperienze di colleghi che hanno vissuto abbastanza male il pensionamento. Per questo mi considero fortunato ad avere avuto la possibilità di continuare ad arbitrare. Per quanto dipenderà da me, cercherò di fare ciò che amo il più a lungo possibile».
   
Poterti concentrare di più su Eurolega ed Eurocup ha dei vantaggi?
«Spero di sì. Sai, un aspetto fondamentale del nostro lavoro è quello di vedere il maggior numero possibile di partite  per apprendere nuove tecniche, tattiche, interpretazioni, studiare il gioco, esaminare le nostre prestazioni e i nostri errori, capire come e perchè abbiamo commesso quell’errore. Vederne due o tre a settimana o una sola, forse due,  fa una grande differenza se vuoi fare bene il tuo lavoro, con coscienza e professionalità».
 
Ti hanno dato un termine quelli dell’Eurolega circa il tuo impiego, oppure si andrà avanti di anno in anno?
«No. A Belgrado, nel nostro raduno di inizio stagione, sono stati chiari: l’Eurolega non ha limiti di età. Sarà nostro compito, parlo degli “anziani”, dimostrare anno per anno che abbiamo ancora il fuoco dentro. Soprattutto, dovremo dimostrare sul campo che siamo meglio e più affidabili dei giovani arbitri che si stanno affacciando sul palcoscenico europeo. Tutto qui».
 
Se dipendesse da te, quante stagioni ancora vorresti andare avanti?
«Hai provato a fare questa domanda a un giocatore, ad esempio al nostro amico Mario Boni? Sono sicuro che Mario  ti direbbe: finché la butto dentro! Io ti rispondo che fino a quando i giocatori accetteranno le mie decisioni e il numero dei miei errori sarà accettabile da loro, io ci proverò».
 
Sulla “Gazzetta dello Sport” di mercoledì 19 ottobre 2016, in una intervista, il Presidente della FIP, Gianni Petrucci, ha detto che il ritiro degli arbitri “vecchi” come te e giunti all’età che li pensiona da regolamento, lascerà spazio ai giovani che così potranno crescere. Ti trovi d’accordo?
«No. I giovani lo spazio non lo devono trovare perchè si è liberato un posto nella lista. I giovani devono “spingere” fuori da quel posto i colleghi che non sono più in grado di conservare quello spazio. Quello spazio è un traguardo, un privilegio. Per alcuni può essere un sogno. Quindi tutti lo devono conservare impegnandosi fino alla morte e lottando con le unghie e con i denti:  cosa che, purtroppo, negli ultimi anni non mi sembra sia sempre accaduta. Si è aspettato che arbitri vicini ai 50 anni di età arrivassero al pensionamento, perchè non si è avuto il coraggio o la capacità dirigenziale di prendere delle decisioni che si sono demandate a una regola che tacitava coscienze e rendeva anche involontariamente la vita facile a qualcuno, creando una generazione di privilegiati. A mio avviso occorre “intercettare” i giovani arbitri quando militano nelle categorie inferiori, capendone le potenzialità e seguendoli nel loro processo di maturazione. Ma per fare questo occorrono persone pazienti, serie e che abbiano il potere decisionale per valorizzare i giovani più promettenti».
 
Circa la tua specifica posizione, Petrucci ha dichiarato che dopo il tuo pensionamento ci sono stati colloqui per inquadrarti nei ranghi della FIP. Cosa ti avevano proposto? E la cosa non è andata in porto perché hai continuato in Eurolega? O avresti smesso se l’offerta FIP fosse stata convincente? Insomma, dacci la tua versione della storia, visto che quella del Presidente Petrucci l’abbiamo letta sulla “rosea”.
«Ti rispondo, ma ti avverto: è una lunga storia, che comincia ad agosto 2015. Nella sua intervista, il Presidente Petrucci afferma che a metà della scorsa stagione avevamo aperto un discorso per integrarmi nella FIP. Sicuramente si riferisce a una telefonata fattami da lui a marzo 2016, il giorno dopo la pubblicazione delle designazioni da parte di FIBA per le Olimpiadi di Rio, mentre ero impegnato a Malaga per una partita di Eurolega. Ricordo bene quella telefonata, perché è durata circa 45 minuti, nel corso dei quali sono stati toccati svariati punti, tra i quali anche il mio futuro al di fuori del campo di gioco. Ma mi preme fare un passo indietro, per spiegare bene il mio punto di vista. Il primo contatto, per parlare del mio futuro nei ranghi della FIP, avvenne nel mese di agosto 2015, all’indomani della nomina a Presidente del CIA del dottor Prandi, persona conosciuta in tutto l’ambiente per le sue capacità  e la sua esperienza, il quale volle incontrarmi per scambiare idee sul mondo arbitrale, venendo a Roseto accompagnato dal Vice Presidente Grotti. Fu una chiacchierata di diverse ore, in cui il Presidente Prandi, dopo alcune valutazioni sull’allora “stato di forma” della classe arbitrale, mi espose la sua intenzione di voler costruire nuovamente una scuola arbitrale italiana trainante, come lo è stato per lustri in Europa, che a suo dire – ma eravamo tutti concordi noi presenti a quell’incontro – aveva e ha bisogno di un forte ricambio generazionale. La sua idea, visto che mi apprestavo a iniziare il mio ultimo anno di carriera in campo, in concomitanza con il termine del quadriennio olimpico e con la possibilità di sviluppare un programma di reclutamento, era quella di affidarmi il Settore Tecnico del CIA. Il Presidente Prandi era infatti rimasto “sconcertato”, leggendo le liste arbitrali, dall’età media degli arbitri, specie in Serie A2: naturale serbatoio per la vetrina del campionato di Serie A. La mia risposta fu che avrei valutato seriamente la sua proposta, a patto che alcune mie richieste fossero chiare sin da subito. Per prima cosa la presa di coscienza, da parte del CIA, della situazione. E cioè che a una situazione “sconcertante” dovevano seguire azioni drastiche e che in ogni caso sarebbe passato del tempo per poter costruire, visto che le scelte operate negli ultimi dieci anni non avevano inciso in alcun modo da un punto di vista strategico. Quindi un quadriennio olimpico forse non sarebbe bastato. Per questo chiesi di essere inquadrato con un contratto pluriennale. La seconda richiesta fu quella di potermi scegliere la squadra di persone con cui lavorare. Non avrei cioè accettato imposizioni dall’esterno o dall’alto, ma avrei risposto delle mie scelte e delle persone che lavoravano con me. Ultima richiesta: della parte tecnica si sarebbe occupato il Settore Tecnico, il quale avrebbe concordato con il Presidente CIA gli obiettivi tecnici da perseguire, ma il rapporto “politico” con la Federazione e i Comitati Regionali sarebbe stato di pertinenza del Presidente CIA e del suo Consiglio. A conclusione di quell’incontro, dopo questi approfondimenti, il Presidente Prandi mi chiese: “Quando iniziamo?”. Io gli risposi: “Il prossimo anno”, perché era mia intenzione continuare ad arbitrare l’ultimo anno e visto che c’era la possibilità di partecipare alla mia terza Olimpiade. Ribadii che un simile lavoro al Settore Tecnico comportava un impegno full time per sette giorni alla settimana e che non era possibile farlo combaciare con i ritmi Campionato/Eurolega. Quando ci lasciammo, dissi che li  ringraziavo per l’offerta, che mi gratificava molto specialmente nei modi in cui mi era pervenuta, e che se avessero avuto ancora l’intenzione di affidarmi quell’incarico, sarei stato molto contento di accettare alla fine della stagione 2015/2016. Aggiunsi, per correttezza, che con in ballo la possibilità di continuare ad arbitrare, la priorità l’avrebbe avuta sempre il campo. Torniamo quindi alla telefonata del Presidente Petrucci del marzo 2016 e alla sua proposta. Stando a quanto mi è stato riferito, si era valutato in Federazione cosa fare per gli arbitri, nel prossimo futuro, e il mio nome era stato fatto in varie circostanze. Il Presidente valutava il mio nome spendibile per determinate caratteristiche e una sua affermazione mi colpì molto favorevolmente: “Vorrei che lei diventasse il Collina del basket. Io farei con lei quello che ho fatto con Collina nel calcio”. Durante la telefonata fu toccato anche l’argomento del limite di età, il fatto che c’era la possibilità che Eurolega prendesse in considerazione anche arbitri over 50 e la mia volontà di continuare ad arbitrare perchè pensavo, e lo penso tuttora, di poter essere più utile in campo al movimento arbitrale in maniera attiva. Dissi però al Presidente Petrucci che, di fronte a una proposta seria, effettiva e concreta come quella che mi stava accennando al telefono, avrei preso seriamente in considerazione la cosa, anche se questo comportava scelte professionali difficili e irrevocabili. La nostra chiacchierata telefonica si concluse con la promessa di un incontro a Roma, magari di ritorno da una mia trasferta. Purtroppo, però, non ho più ricevuto telefonate dal Presidente. L’ultimo contatto con la Federazione l’ho avuto a luglio 2016,  con il Commissario CIA, Tedeschi (sostituto di Prandi), il quale mi ha invitato a Roma. Dopo aver ascoltato le sue idee e le azioni che sarebbero state messe in atto di lì a poco dalla sua gestione, gli ho chiesto: “In quale posizione il CIA intende utilizzarmi?”. La risposta del Commissario è stata: “Quella che più ritieni utile, per mettere la tua esperienza al servizio della Federazione. Se vuoi ti nomino Vice Commissario, anche domani”. Al Commissario ho risposto che a un ruolo del genere avrei preferito un ruolo tecnico, rivolto ai giovani, per mettere a disposizione la mia esperienza. Poi gli ho detto che secondo me non occorrevano tante persone per gestire il Settore Tecnico: ne bastavano 20, massimo 25, per occuparsi di Serie A, Serie A2 e Serie B, a patto di avere una squadra fatta di persone qualificate e serie e, soprattutto, senza scheletri negli armadi. Al che Tedeschi mi ha invitato a redigere e presentare un programma. Tornato a Roseto, in 5 giorni ho scritto il programma e sono tornato  a Roma con il documento, una lista di persone di mia fiducia e la richiesta di formalizzare il rapporto con la Federazione. A questo punto, il gelo. Il Commissario, che secondo me è stato preso un po’ alla sprovvista, si è fatto ripetere le mie richieste – che erano sempre le stesse di agosto 2015 – e cioè: contratto pluriennale e possibilità di scegliere la squadra con cui lavorare. Tengo a precisare che non ho avanzato nessuna richiesta economica, perchè mi sembrava giusto che l’offerta arrivasse dalla parte che mi aveva contattato. Perciò io non ho mai parlato di incarichi o soldi, ma chiesto solo di fissare i paletti della collaborazione e i rispettivi compiti. D’altronde, io non mi sono mai sentito Collina e il solo fatto di essere stato avvicinato al migliore di sempre di tutti gli sport, era una garanzia su quanto la Federazione tenesse a me. E invece il giorno dopo il secondo incontro a Roma, il Commissario mi ha informato che, con suo grande dispiacere, la mia richiesta, la prima e più importante, di avere un contratto pluriennale, non poteva essere accettata dalla Federazione Italiana Pallacanestro. Per due motivi: perchè la Federazione non sigla contratti pluriennali con i collaboratori e perché il Presidente Petrucci non poteva, visto le imminenti elezioni di dicembre 2016, farsi carico di un contratto pluriennale. Circa il mio eventuale compenso, il Commissario Tedeschi mi ha detto: “Mi sento a disagio nel riferirtelo”, con spiegazione annessa che non toglie né aggiunge niente a questa storia, ma che mi ha fatto ancora più comprendere il sistema. Fine della lunga storia. Spero che tutti quelli che hanno interesse a conoscerla abbiano gli elementi per farsi un’idea. Aggiungo solo un ultimo elemento. A luglio 2016 non avevo ancora nessuna certezza di essere impiegato in Eurolega ed Eurocup, così informai il Commissario Tedeschi di questa eventualità. La sua risposta fu che per lui, quindi per il CIA e – di conseguenza – la Federazione, non esistevano pregiudizi: avrei potuto arbitrare durante la settimana e, nei weekend, seguire i vari campionati nazionali. A questa sua affermazione, risposi dicendo che l’eventuale lavoro che mi aspettava al CIA era così importante e impegnativo che non mi avrebbe permesso di continuare ad arbitrare».