Quando il “contorno” diventa spettacolo: la Fossa Dei Leoni

Fortitudo-Trieste a BasketCity, indipendentemente dal risultato, è un palcoscenico che vale la A.

I fortitudini hanno ancora l’amaro in bocca per il canestro sulla sirena di Nelson che la scorsa stagione consentì ai biancorossi di espugnare Bologna. I fumogeni un’ora prima del match in piazza Azzarita ne sono un chiaro segnale.

Siamo nel tempio della Fortitudo, l’enorme “F” nel cerchio di metacampo fuga ogni possibile dubbio. Palazzetto quasi esaurito. L’entrata sul parquet dei bolognesi viene accolta dal pubblico con un’ovazione. La presentazione delle squadre è il primo pretesto a tirar fuori la voce: emerge uno Striscione “Friulani biancoblu”, tanto per richiamare improbabili rivalità territoriali.
La scritta “FIPocriti” è chiaro riferimento al ritiro del codice Fip centotrè; assurda questione sulla quale i tifosi vogliono farsi sentire, la burocrazia non cancella la storia.

Comincia il match: sulla cinquantina i triestini presenti. Pipitone apre le danze, i biancorossi daranno battaglia.
Dopo 5 minuti entra Ruzzier, stavolta applaudono tutti, bolognesi e triestini. Fortemente limitato dall’infortunio al perone, è evidente che ci tiene particolarmente a giocare la partita. Bossi gli scippa la sfera per l’inizio di un duello tutto alabardato.
La Fossa coinvolge le tribune, il tifo sfegatato non si ferma solo alla curva Schull. La tripla di Italiano dà luogo ad un’esultanza che un gol al Dall’Ara in fatto di decibel non s’avvicina nemmeno. Ruzzier, stoppato prepotentemente da Green, viene richiamato in panchina da Bonicciolli; meglio non rischiarlo ulteriormente, non è al 100%. Non inizia al meglio neppure Gandini, l’altro grande ex, il quale parte con un 0/2 in lunetta. A quanto pare è un match sentito.

Il primo quarto lo gioca meglio Trieste. Il PalaDozza se ne rende conto, così all’inizio della seconda frazione è già in piedi, tutti e cinquemila.
Secondo fallo di Mancinelli, costretto a uscire. L’urlo della Fossa “Mancinelli numero uno” sostiene il proprio capitano.
I cori non danno tregua alle orecchie degli spettatori silenti (semmai ce ne fossero un paio), ma anzi è un crescendo continuo che condensa tutta l’energia al grido “BIANCOBLU”, ripetuto una decina di volte, tanto per ribadire la sponda F.
Bologna centra il primo sorpasso al 17′. Ora ogni fischio è coperto dai boati, che la Fossa inconsapevolmente (?) condizioni l’arbitraggio è un dato di fatto. I leoni più violenti incitano a non avere pietà per gli avversari. Si addolciscono (?) poi sulle note di “sarà perché ti amo”, dichiarando amore incondizionato alla propria maglia. Il primo tempo termina 33-32 per gli ospiti.

Al rientro dagli spogliatoi riparte meglio Bologna, la quale scava un piccolo margine. Trieste si risveglia con la bimane di Green, il migliore tra i biancorossi. Lo schiaccione di Candi in faccia a Pipitone accende la contesa anche sul piano dello spettacolo.
La tripla di Baldasso accorcia ad una sola lunghezza di svantaggio. Il clima si fa ancora più caldo: un paio di decisioni arbitrali fanno imbestialire il PalDozza. Robe da far tremare i vetri, tanto per restare in tema Halloween: il terzo quarto si chiude con l’appoggio al tabellone di Mancinelli che vale il +4 per i padroni di casa.
Green tiene in piedi Trieste. Dalmasson chiama time-out sul 49-47 a sette giri di lancette dal fischio finale. Nuova occasione per la curva: “Siamo noi la Fossa”, per chi non l’avesse ancora compreso.

Sbaglia Parks, tripla di Raucci sul versante opposto, esplode nuovamente il palazzo. Al “chi non salta virtussino è”, saltano anche i palchetti.
Trieste inizia a perdere contatto, Dalmasson fa ruotare i suoi uomini, ma nessuno riesce a prendere in mano la situazione. Il quinto fallo di Parks ha il sapore di bandiera bianca per i Giuliani. Raucci esce abbondantemente applaudito, MVP all’unanimità.
La sirena finale arriva assieme al contropiede concretizzato da Montano. Vince Bologna 66-54.

Trieste ha giocato bene le prime due frazioni, poi si è progressivamente spenta. È una squadra ben costruita, ma fragile quanto emotiva. Al PalaRubini, altra struttura gioiello del basket italiano, è chiamata ora a farsi valere. Sui propri tifosi sa di poter contare.
La Fortitudo in questo momento, considerando i problemi con Roberts e Ruzzier a mezzo servizio, non è affatto una squadra formidabile. Sul campo, tecnicamente, la differenza stava forse in un’inezia. Ebbene succede che tale inezia è il pubblico ad ampliarla. Perché nella pallacanestro, quando comincia a mancare il fiato, la spinta decisiva può arrivare proprio dagli spalti.
E il PalaDozza è il PalaDozza, c’è poco da fare.

Sebastian Romano