Fitipaldo l’italiano: “Vorrei conoscere Suarez e Messi”

L'uruguaiano è la star di Capo d'Orlando: «Gli inizi col calcio, poi nel giardino è spuntato un canestro...»

Fonte: La Gazzetta dello Sport, a cura di Salvatore Pintaudi

Sorseggia il mate, la bevanda più amata del Sud America, passeggiando sul lungomare di Capo d’Orlando. Lo aiuta a rilassarsi dopo le partite. Fondamentale, come la presenza della sua ragazza Luciana, anche lei di Montevideo. Bruno Fitipaldo, 25anni play titolare della nazionale uruguaiana, alla prima esperienza lontano dall’America Latina, dopo 5 giornate di campionato ha già preso per mano la Betaland. Bene al tiro, 57 punti in 4 gare con 14.3 di media, impeccabile in regia: 34 assist, di cui 14 nell’incontro vinto domenica con Cantù.

«Ho giocato gli ultimi due anni in Argentina nell’Obras Sanitarias, prima non ero mai uscito dall’Uruguay. In Europa, solamente per vacanza, sono stato a Barcellona, in Spagna, poi a Roma e nella Costiera Amalfitana».

Come è arrivato a Capo?
«Volevo fare un’esperienza fuori dall’America, quando mi hanno detto che c’era questa possibilità, ho chiesto notizie ad amici, su squadra e società. Ne ho parlato con la mia famiglia e con Luciana, abbiamo controllato sulla cartina dove si trovava e ho capito che era una piccola città. Però quando sono arrivato e ho visto il mare mi sono sentito come a casa».

Da piccolo voleva fare il calciatore, perché poi il basket?
«Vero, avevo cominciato con il calcio, da noi è molto popolare. Mio padre però giocava a basket ai massimi livelli, anche se non erano professionisti. Ho cominciato proprio con lui a 10 anni, nel giardino di casa mia c’è un canestro con mezzo campo, mi batteva sempre. Poi mi rifacevo con i miei fratelli Juan Andres di 27 anni e Herman di 22: vincevo io sistematicamente. Siamo una famiglia che vive di basket, però il mio sogno è conoscere Luis Suarez e Messi, i miei idoli».

Il suo cognome è di chiare origini italiane.
«I miei bisnonni paterni erano di Lauria, in Basilicata. Quelli materni si chiamavano Di Do-mizio ed erano invece di Trani, in Puglia. In Uruguay siamo in molti ad avere origini italiane, la famiglia della mia ragazza fa Tripodi, è di Reggio Calabria. A Montevideo viviamo tutti, anche Luciana in un barrio, ci piace moltissimo ed è un posto molto tranquillo, dove ci conosciamo tutti, proprio come qui a Capo d’Orlando. Mia madre è un’insegnante, mio padre lavora con un’azienda, mio fratello Juan Andres in un negozio, mentre Herman, per il momento gioca solo a basket».

Mangia italiano o preferisce la cucina sudamericana?
«La carne è il primo piatto, l’asado è insostituibile nella nostra dieta. Però noi mangiamo volentieri anche pasta, pizza, pane. La vostra cucina va benissimo, tranne il pesce che a me non piace (ed è quasi una bestemmia a Capo d’Orlando, ndr). L’Italia come nazione è splendida, cercherò di visitare tante città. In Sicilia per il momento siamo stati a Cefalù e Milazzo, quanto prima però andremo a Palermo, Trapani, Agrigento e Taormina».

La Betaland è una squadra giovane: ha avuto problemi di ambientamento? «Intanto il nostro obiettivo non è la salvezza. Ho scelto Capo perché puntavano in alto. Vero, siamo un gruppo giovane, ma dal talento enorme. Io non sono uno che vuole a tutti i costi andare a canestro, scelgo sempre la soluzione migliore per la squadra, così come mi dice il nostro coach Di Carlo. Lui è un tipo giusto, esigente. Il mio record? 41 punti in Uruguay, 30 in Argentina, ma l’importante è sempre vincere e mandare i compagni a canestro».