Il sesto uomo di Silvia Gottardi

Un ruolo che, negli anni, ha visto protagonisti importanti, raccontato da quella che rappresenta il simbolo delle cestiste italiane, a diversi livelli.

Fonte: shegotgame.it a cura di Silvia Gottardi

Il sesto uomo è un figo, è il più figo dei fighi.

Il sesto uomo se ne sbatte di non essere in quintetto perché ha un Q.I. elevato, non solo cestistico, e sa aspettare serafico il suo momento. È il jolly della squadra, quello che pur entrando dalla panca riesce a lasciare il segno, a spezzare la partita. In NBA c’è addirittura un riconoscimento speciale per questo ruolo atipico ma molto importante, in Italia invece non se lo fila nessuno.

Famosi sono Franco Boselli (Olimpia Milano anni ‘70/’80), Kevin McHale (Boston Celtics anni ’80) e Manu Ginobili (Spurs), ma il sesto uomo per eccellenza, “Mister Sesto Uomo” è senza dubbio Tony Kukoc. Da Sesto uomo, con i Bulls, negli anni ’90 si è messo ben 3 anelli alle dita (anche se c’è da dire che in quintetto lui aveva due come Jordan e Pippen, e non è poco!).

Questo è il sesto uomo sulla carta. In pratica, quando sei tu il sesto uomo, le cose le vivi in maniera un po’ diversa, soprattutto se diventi sesto uomo a stagione in corso, dopo il cambio del coach, e sei stato titolare per tutto il resto della tua vita.

Il ruolo di sesto uomo, visto da dentro, non è così figo come lo dipingono, e delle volte sembra più un declassamento, quasi una punizione. In pratica stai seduto in panca mentre i titolari si godono l’inizio della partita, quel momento pieno di aspettative ed emozioni in cui tutto può ancora succedere, in cui sfidi l’avversario con una stretta di mano prima ancora che l’arbitro alzi in aria la palla. E in più c’è da dire che non è facile entrare da freddi ed essere subito decisivi; magari lo era per Kukoc, ma per noi comuni mortali non è proprio scontato entrare e capire al volo che tipo di partita è, fare subito la cosa giusta.

Da due partite sono diventata il sesto uomo della mia squadra.

Per la testa mi sono passati mille pensieri contrastanti: dalla sensazione di essere “finita” alla gioia per un ruolo così importante, dalla consapevolezza di poter dare molto di più alla squadra alla delusione di non essere più decisiva. Soddisfazione, rabbia, euforia, scoramento, tutto frullato assieme.

Poi, dopo due partite, ho smesso di pensare e ho cominciato a giocare. A modo mio!

E ho capito che non c’è un solo sesto uomo, ma ce ne sono tanti come sono i giocatori. Ho capito che il sesto uomo non è né il salvatore della patria stile NBA, né lo sfigato che non merita il quintetto, come spesso credono i giocatori.

Il sesto uomo sono io quando fremo per la voglia di giocare, il sesto uomo sono io quando incito le mie compagne dalla panca, il sesto uomo sono io quando sento il mio nome e scatto come una molla verso il cubo del cambio pronta per entrare. Ora vi faccio vedere cos’è il sesto uomo!