Ricomincio ad alzare il gomito di Sergio Tavcar

Fonte: www.sergiotavcar.com

Chissà se c’è ancora qualcuno che apre di tanto in tanto questo blog, visto il tempo immemorabile dall’ultima volta che ho scritto qualcosa. Stavolta, almeno per le ultime due settimane, ho una scusa di ferro.

Il fatidico martedì 17 di gennaio, mentre mi recavo al lavoro, dopo aver parcheggiato la macchina, mentre ero a piedi un’improvvisa raffica di bora di violenza inaudita mi ha letteralmente alzato da terra e scaraventato contro un camion di servizio parcheggiato dove normalmente non c’è nessuno. Risultato: maschera di sangue, tagli e botte dappertutto e una volta fatto in ospedale l’inventario dei danni è venuto fuori che, oltre a sei punti di sutura in faccia con annessi connotati stravolti e una caviglia strastorta (per fortuna almeno lei senza fratture), mi sono ritrovato il gomito destro rotto, gomito che mi hanno rimesso a posto venerdì scorso mettendomi un paio di viti per tenere assieme l’osso dell’omero (olecrano) andato in frantumi per la violenza dell’impatto. Finalmente adesso posso muoverlo quel tanto per poter accedere alla tastiera e scrivere, anche se con ovvia difficoltà.

In questo tempo forzato di ozio ho avuto modo di guardare la TV a più non posso e sono praticamente informato su tutto. E’ vero comunque che c’era tantissima roba, per cui proprio tutto è difficile da coprire. C’erano, oltre a tutti gli sport invernali, anche i Mondiali di pallamano in Francia, nei quali la Slovenia ha conquistato uno storico bronzo, prima medaglia in un Mondiale di uno sport di squadra, battendo nella finalina i cugini croati che la sera prima in semifinale avevano perso contro la Norvegia sbagliando il rigore della vittoria a tempo scaduto per poi perdere ai supplementari. I quali croati contro la Slovenia erano avanti di otto (!) gol a metà del secondo tempo e si sono poi squagliati per la stanchezza e il panico finendo per perdere 31 a 30. Certo, visto dalla parte loro, è roba da suicidio collettivo, però intanto la Slovenia si gode una vera e propria festa nazionale.

La Slovenia gode ovviamente anche per la formidabile Ilka Štuhec che, da quando ha deciso di fare da sola affidandosi alle mani di Andrea Massi che l’ha fatta allenare d’estate con i maschi in Cile, ma soprattutto ha speso una buona parola per farle dare sci competitivi dalla ditta che riforniva la Maze, ha fatto finalmente sbocciare tutto il talento che aveva mostrato da junior, vincendo due titoli mondiali in una concorrenza che all’epoca si chiamava Gut, Fenninger e Weirather, per dire nomi a caso. Non gode invece per i suoi saltatori che proprio non riescono a fare quello che facevano l’anno scorso con Peter Prevc caduto in una strana spirale di sfiducia.

Dopo i Quattro trampolini aveva detto: “Ho fatto tutto quello che dovevo fare, so come dovrei saltare, ma dovete sapere che i salti sono una cosa che sul dente devi fare di puro istinto, perché ti manca il semplice tempo di pensare a tutte le cose che devi fare. E se provi a pensare allora tutto si rompe e io ora sto saltando da cesso, per cui mi prendo un periodo di vacanza nel quale non voglio vedere un trampolino neanche in cartolina, sperando al ritorno di avere la mente più sgombra e di recuperare qualche sensazione positiva.” Ragazzo estremamente intelligente Peter e la sua analisi non fa una grinza. E infatti è ritornato nettamente meglio di prima, anche se le ultime gare si sono disputate in condizioni difficilissime con tutta la Slovenia che sembra avere sulla testa una nuvola fantozziana, in quanto quando deve saltare uno sloveno il vento improvvisamente si mette a soffiare da dietro spingendolo verso terra mentre i concorrenti veleggiano su folate di vento. E questa è cosa non buona in uno sport nel quale la fiducia è totalmente fondamentale. Avrete forse visto anche Daniel Andre Tande che, dopo aver buttato nel water la Tournee con il suo ultimo salto, è ritornato improvvisamente ogni tanto a fare errori che a inizio stagione non faceva mai.

Poi c’è stato ovviamente quel meraviglioso, irripetibile e nostalgico in modo struggente, in quanto sai che hai assistito all’ultima rappresentazione e una cosa del genere non la vedrai più, mai più, salto nel passato con una prodigiosa macchina del tempo che ci ha regalato forse “il” match della storia del tennis fra Federer e Nadal a Melbourne. Ho sofferto ovviamente come un cane per Roger, penso come la stragrande maggioranza dei tifosi, ma sono d’accordo con quanto ha detto il vero, unico, irripetibile Prescelto che ci sia attualmente al mondo in ogni sport durante la cerimonia della premiazione, quando ha detto che domenica si sarebbe accontentato del pareggio. Che sarebbe stato anche più giusto, forse, in quanto Rafa è stato incredibile, un Rafa d’antan che non si vedeva da tempo, appunto, immemorabile. E se alla fine mi ha fatto quasi pena nella sua straordinaria signorilità con la quale ha accettato la sconfitta, che gli ha fatto un male terribile in quanto anche lui sa che occasioni del genere ce ne saranno di anno in anno di meno, allora vuol dire che la vittoria se la sarebbe meritata anche lui.

Però il punto assurdo giocato, mi sembra, sul 30 pari del quarto game del quinto set, vinto da Federer dopo uno scambio assolutamente irreale che poteva essere giocato solo da marziani, vale da solo una buona fetta di storia del tennis. Per tornare alla macchina del tempo sembra inconfutabile che a Melbourne lavorasse a pieno regime, se fra le donne ci ha presentato una finale fra le sorelle Williams. Qui forse poteva anche spegnersi per un po’, perché come tutte le finali fra le Williams è stata una pizza stucchevole e forse è meglio se questi match non li vediamo più, lasciando che il tempo faccia il suo corso normale.

E in mezzo a tutto ciò c’è stato ovviamente anche tanto basket. Di tutti i tipi. Detto che le partite dell’NBA trasmesse da Sky mi sono risultate inguardabili per totale assenza di basket in esse, ho guardato molta Eurolega e anche qualche partita di A-2, anche per vedere se c’è qualche giovane giocatore che varrebbe la pena di seguire. Non c’è, per cui ritorno sull’Eurolega. Mi sono divertito come un pazzo a vedere l’ultimo quarto di Milano contro l’Olympiacos, in quanto per qualche strana ragione Repeša ha messo in campo il quintetto che qualche tempo fa vi dicevo che era assolutamente il migliore che Milano avesse, e cioè Cinciarini – Dragić – Simon – Pascolo e Mačvan. Qui siamo in presenza di qualcosa di altamente importante e sempre sottovalutato, mentre si tratta dell’essenza stessa del basket, e che cioè i quintetti produttivi non sempre sono formati dai migliori giocatori che si hanno a disposizione e nel caso di Milano si tratta di una dimostrazione pressoché estrema di questo assunto. In panchina c’erano giocatori sicuramente individualmente molto più forti, che ne so, Sanders, McLean, Kalnietis, lo stesso Raduljica, ma guarda caso quei cinque hanno letteralmente asfaltato l’Olympiacos giocando anche un basket meraviglioso. Fra l’altro è stato accennato solo di sfuggita in telecronaca un fatto cruciale: l’Olympiacos, squadra molto più fisica che avrebbe dovuto schiacciare un quintetto così leggero, è stata lei che ha dovuto adattarsi abbassando il quintetto in campo, ma anche questo non è bastato.

Questo per dire che la chimica fra i giocatori è assolutamente cruciale e per averla è assolutamente necessario che tutti parlino la stessa lingua cestistica, che cioè ognuno sappia prima cosa il compagno farà, perché è la cosa che farebbe lui se fosse al suo posto. Ora, se tu in un momento hai un play lituano che gioca in un certo modo e deve orchestrare tre americani che vedono il basket in modo totalmente differente, se poi metti un play americano con quattro ex jugoslavi assieme a lui, allora mi sembra solo ovvio che di sintonia di intenti non si possa parlare e che in una situazione del genere alla fine ognuno pensi di giocare da solo. Tornando al quintetto di cui sopra si vede dall’aereo, come dicono in Jugoslavia, che i giocatori vedono il basket nello stesso modo, hanno le stesse caratteristiche di corsa, di smarcamento, di gioco senza palla, per cui si trovano a occhi chiusi avendo tutti la stessa filosofia di gioco, in definitiva “giocano” a basket nello stesso modo, per cui non possono non amalgamarsi alla perfezione. Con ciò facendo ognuno il proprio lavoro nel ruolo che gli compete e con gerarchie ferree con Cinciarini che detta i tempi, con Simon che è il play occulto, con Mačvan che decide la cosa finale da fare e con gli altri due che eseguono facendosi sempre trovare al punto giusto al momento giusto. Di Pascolo non parlo neanche: l’arresto, finta, giro sul perno e facile appoggio mentre l’energumeno va a svitare le lampadine del Forum vale più o meno quanto una volée di Federer, cioè goduria intellettuale alla massima potenza.

Tutto questo mi porta a continuare nella mia crociata, quella cioè di poter vedere ancora qualche volta nella mia vita, magari mettendo in moto la macchina del tempo di Melbourne, una squadra che gioca con 5-giocatori-5 con due riserve (play e centro), uno specialista difensivo e due juniores da tempo dei rifiuti, squadra che giochi a memoria e che sia un piacere vederla. Troppi impegni? Troppa intensità? Vero, ma non per la manifestazione singola. Come detto per gli Europei in Lituania la Macedonia è arrivata quarta giocando in cinque. L’ultimo articolo per Superbasket che ho scritto parla della Grecia dei miracoli della fine degli anni ’80 che ha vinto un oro e un argento europeo giocando in cinque: Galis – Giannakis – Christodoulou – Fasoulas e Kabouris. Eppure l’intensità non le mancava. E ancora: l’Argentina ha vinto un’Olimpiade e quasi un Mondiale giocando con Sanchez (Sconochini) – Ginobili – Nocioni (Delfino) – Oberto – Scola, per cui le rotazioni vorticose nel corso delle varie partite di una singola manifestazione le reputo semplicemente masturbazioni mentali dei vari coach che vogliono vincere la partita loro invece dei giocatori che mettono in campo a volte a puro e semplice pene di segugio.

Se si gioca su più fronti si hanno a disposizione rose molto più ampie. Sarebbe veramente tanto difficile trovare quintetti diversi da usare alternativamente, ma quintetti veri, di quelli di cui parlo io, in cui tutti parlano la stessa lingua cestistica? Secondo me un bravo coach dovrebbe farlo senza neanche tanti problemi, tanto in allenamento si capisce subito chi va d’accordo con chi. Se poi trova difficile riuscirci è pagato profumatamente per quello. Che si dia da fare.