“Alma Generation”: concluso con successo il primo episodio

Una trentina di persone ha partecipato alle due giornate dell’evento all’Alma Arena.

“Costruire la mentalità vincente”, questo il titolo dell’evento organizzato all’Alma Arena – con il nuovo brand “Alma Generation” – da Alma Agenzia per il lavoro e Pallacanestro Trieste, con il patrocinio del Comitato Regionale Friuli Venezia Giulia della Federazione Italiana Pallacanestro, delle Università degli Studi di Trieste e “Federico II” di Napoli e degli Ordini degli Psicologi del Friuli Venezia Giulia e della Campania.

Proprio in rappresentanza di quest’ultimo – dopo il saluto del Presidente di Alma Pallacanestro Trieste Gianluca Mauro – nella prima giornata di venerdì 27 è stato il Dott. Luca De Rose a catalizzare l’attenzione della platea, composta per la maggior parte da allenatori, psicologi ed ex giocatori. Due le sessioni proposte, una teorica ed una pratica, incentrate sulla relazione tra coach ed atleti, sulle tipologie comportamentali ed esistenziali degli stessi e sulle possibili dinamiche interagenti all’interno di una squadra.

Nella parte teorica il Dott. De Rose ha tracciato le caratteristiche del percorso da compiere nella costruzione di una mentalità di squadra, suddividendolo in tre step.

Il primo approccio è quello di conoscerne bene i componenti, assegnando a ciascuno di essi una delle quattro possibili sfere emozionali: razionale, emotiva, fantasiosa, corporea. Un giocatore razionale, ad esempio, è quello molto ligio nei confronti delle regole e intriso di consapevolezza del proprio ruolo, mentre un giocatore fantasioso è colui che si trova spesso molto lontano da esse e che difficilmente ha un buon rapporto con tutti gli altri. Un giocatore emotivo è in grado di percepire i minimi cambiamenti nel gruppo ed in quanto tale diventa uno strumento prezioso per il coach. Un giocatore corporeo non accetta tipologie di approccio che non coinvolgano, appunto, il corpo e per trasmettergli qualcosa sarà necessario mostrarglielo.

Il secondo step è quello di definire le posizioni esistenziali dei giocatori, suddividendole tra genitoriale, adulto, bambino. L’atleta genitoriale guarda poco a sé, preoccupandosi della squadra, mentre l’opposto è l’atleta bambino, che pensa esclusivamente a se stesso. L’atleta adulto è infine quello che si trova in una posizione mediana rispetto agli altri due.

Ultima fase del percorso è quella che deve consentire di valutare la struttura della personalità di ciascun atleta, attraverso un modello comportamentale integrato nello sport che si esplica in quattro tipologie: rigido, nero, bianco, confluente. Il giocatore con personalità rigida è quello razionale, poco emotivo, poco fantasioso e per nulla corporeo: rispetta le regole e si infastidisce se qualcuno non le rispetta, non accetta cambiamenti e non “sente” il proprio corpo, trovandosi in difficoltà nell’eseguire gli schemi di gioco. La sua presenza viene compensata dal giocatore con personalità di tipo “nero”, che è molto emotivo, poco razionale, abbastanza fantasioso e molto corporeo: una tipologia di atleta contento allo stesso modo sia delle cose ben definite, sia dei cambiamenti. Il giocatore di tipo “bianco”, invece, in teoria non è fatto per gli sport di squadra, perché ha difficoltà ad accettare il leader e la divisione dei ruoli; deve essere lasciato libero di decidere cosa fare, attività di cui comunque si assume ogni responsabilità. L’ultimo tipo di personalità, quella confluente, rappresenta un giocatore che per comunicare ha bisogno di una sponda, di una triangolazione: non parla direttamente con il destinatario del messaggio, ma lo comunica ad un altro – che è sempre uno “bianco” – dandogli il compito di riportarlo.

L’efficacia di questa attività conoscitiva è tanto maggiore quanto più chi la compie resta fedele a se stesso, perché una squadra ha al proprio interno tutti gli elementi precedentemente descritti ed una squadra che funziona è quella che riesce a godere di un adeguato contesto relazionale, nel quale le caratteristiche dei singoli trovano il giusto modo di esprimersi e di rendere a favore del gruppo.

L’attività si è poi spostata sul parquet, con il Dott. De Rose che ha lavorato con l’Under 16 del BaskeTrieste, facendo compiere diversi esercizi fisici a coppie e in gruppo con due fini principali: il primo è stato quello di valutare la presenza di aggressività tra i giocatori, di che tipo e di che intensità, mettendoli in condizione di scegliere se restare ciascuno nella propria zona di comfort o se esprimerla, invadendo la zona di comfort altrui. Il secondo era di valutare il livello di concentrazione, eliminando i cosiddetti “riflessi primordiali” a favore di quelli appresi, studiati ed interiorizzati, per determinare attenzione, velocità e capacità reattive dei giocatori.

La seconda giornata dei lavori, sabato 28, si è aperta con Alessandro Nocera, responsabile tecnico del settore giovanile della Pallacanestro Trieste ed assistant coach della Nazionale Italiana Under 16, che ha spiegato i suoi metodi di gestione del gruppo e di valorizzazione della mentalità vincente sviluppati attraverso le sue esperienze di allenatore tra Roma, Siena e Trieste. Coach Nocera ha indicato tre obiettivi per mettere la squadra in condizione di dare il massimo: restare uniti nei momenti importanti, sapere cosa fare in campo, infondere entusiasmo. Tre valori forti, che fungono da collante del gruppo e generano nei singoli una forte positività che poi si trasferisce sulla squadra. Il coach deve comunque essere sempre massimamente recettivo per cogliere ogni piccola sfaccettatura nel percorso del gruppo e dei singoli, premurandosi di trasferire disciplina (puntualità, rapporto diretto con il coach, rispetto degli altri), chiarezza nei ruoli (prima coach, poi amico) ed affetto (parlare sempre con i ragazzi, capirli, coinvolgerli), condividendo un obiettivo dichiarato, in modo che ciascuno faccia la propria parte. Perché la chiave di tutto – ha concluso Nocera – è migliorarsi e per farlo bisogna essere affamati, dedicandosi al lavoro ed all’obiettivo con costanza.

Giovanni Adami, Presidente regionale F.I.P. del Friuli Venezia Giulia, nel suo saluto ai presenti ha espresso la necessità, oggi, di curare i dettagli del lavoro tecnico e tattico, perché è ciò che può fare la differenza in un villaggio globale dove è stato detto e scritto quasi tutto da tutti. La valorizzazione dei dettagli è un processo difficile che passa inesorabilmente attraverso il modo in cui ciascun coach si rapporta ai suoi giocatori e per farlo deve giocoforza avere un uomo fidato all’interno della squadra, che possa segnalare le varie criticità.

I lavori sono proseguiti con l’intervento di Alessandro Guidi, Responsabile Tecnico Territoriale del Friuli Venezia Giulia e assistant coach della Nazionale Italiana Under 16, che ha indicato il focus sul singolo giocatore come componente di una squadra e di una mentalità comune. Il lavoro da fare è quello di insegnare ai ragazzi a stare assieme, a metter in condizione ciascun componente della squadra di condividere l’obiettivo comune, utilizzando il coach come strumento per veicolare la propria passione ed i propri sogni sul parquet. Il coach deve assumersi l’onere di rendere raggiungibili i traguardi, lavorando con consapevolezza e preparazione e con la responsabilità di essere insegnante, preparatore atletico e educatore. Un’educazione che deve essere rapportata alla disciplina ma anche allo stress, alla sconfitta prima ancora che alla vittoria.

Il Dott. De Rose, nella chiusura dell’evento, ha ribadito per chi svolge il ruolo del coach la necessità – piuttosto dell’autorità – dell’autorevolezza, che si deve esprimere con la piena conoscenza dell’argomento che si tratta, pena l’insussitenza di alcuna mentalità da costruire nel gruppo. In tutto ciò la comunicazione, in tutti i suoi aspetti (verbale, paraverbale e non verbale), rappresenta l’elemento fondamentale per costruire una mentalità e renderla successivamente vincente.

Marco Torbianelli