Hamidou Diallo: “Il Ramadan in quarantena”

Il racconto del ventiduenne cestista degli Oklahoma City Thunders: l'esperienza del Ramadan durante la quarantena.

Hamidou Diallo, un nome che gli appassionati di NBA conosceranno molto bene: guardia tiratrice degli Oklahoma City Thunders, Diallo è un ragazzone nato nel 1998, a New York, precisamente nel Queens. Un quartiere che non è certamente uno dei più facili, ma dal quale il buon Hamidou è “emerso” grazie alle sue doti cestistiche, distribuite lungo 196 centimetri per 92 chili di peso. Ma Diallo non è solamente un cestista: è anche un ragazzo che ha una solida fede. Si, perchè Diallo è un Musulmano e, gradualmente, ha sempre più abbracciato questo tipo di fede, che comporta anche dei sacrifici importanti. The Players Tribune ha ospitato recentemente una sua lettera: una lettera bellissima, nella quale Diallo racconta di come un ragazzo di 22 anni del Queens vive il Ramadan durante il periodo del Lock Down. 

Ecco le sue parole: 

“Per me, il mese del Ramadan è sempre stato percepito come “famiglia”: famiglia, ma anche comunità. 

Quand’ero un ragazzino che cresceva nel Queens, eravamo abbastanza fortunati da vivere in un quartiere con altre famiglie musulmane. Insieme pregavamo e condividevamo la nostra fede; io, insieme ai miei cugini ed ai miei amici correvamo e giocavamo assieme, mentre i più anziani ci raccontavano storie di quando loro erano più giovani. 

Questo ha avvicinato ulteriormente tutte le nostre famiglie: a questo è anche un aspetto importante del Ramadan, ovvero che unisce le persone. Abbiamo tutti a che fare con le difficoltà del digiuno, ma le mettiamo da parte grazie alla nostra fede in Allah. Quindi, per me, il Ramadan è sempre stato un qualcosa che ha fatto emergere in maniera molto forte la fede intrecciata con l’attitudine a stare insieme. 

Beh, quello e… anche l’aspetto del cibo: per quanto è dura digiunare durante il giorno, sapevo sempre che appena il sole calava il miglior cibo dell’Africa Subsahariana mi attendeva. Cioè… mia madre e mia sorella, e le nostre zie e cugine, beh loro non giocavano. 

Conoscete il riso jollof? E’ un mix di riso e verdure con carne che viene speziato ed aromatizzato. E la mia famiglia fa il miglior riso jollof del pianeta: potrei davvero mangiare solamente quello per tutta la vita… è così buono!

Ah, e anche la zuppa di burro d’arachidi: è un piatto semplice (stufato, pomodori, patate dolci e burro d’arachidi), che viene servito e mangiato con il riso, ma se non lo avete mai provato, vi consiglio di farlo: è incredibile! 

Sfortunatamente, in questo 2020, non ho potuto assaggiare nemmeno uno di questi piatti: sto osservando la quarantena qui ad Oklahoma City e, anche se amo molto questa città, non è possibile trovare ristoranti che fanno cibi tipici dell’Africa Subsahariana. Per cui, quest’anno, questi giorni per me sono davvero lunghi: è come se durassero in eterno. 

E non è solo la situazione del cibo che è cambiata, quest’anno: l’intera facciata della comunità del Ramadan ha subito dei duri colpi. Le moschee sono chiuse, tutti si stanno riparando a casa e la solitudine sta avanzando. E’ molto difficile stare con gli altri che hanno la tua stessa fede. 

Vivo con il mio fratello minore e uno dei miei cugini, ora, ed anch’essi sono devoti Musulmani. Questa è stata la mia salvezza durante questo Ramadan: preghiamo assieme e mangiamo assieme quando finisce il tempo del digiuno. 

Durante il giorno, comunque, dobbiamo avere a che fare con questa crisi come qualsiasi altra persona: insomma, le cose si stanno facendo monotone. Possiamo solo giocare a “Uno” per tante volte: capite che cosa intendo? Siamo arrivati al punto che le nostre menti sono annoiate e viaggiano. 

Allora, ogni sera quando il sole cala, preparo il mio tappeto da preghiera e faccio il “Wudu”, che è un particolare lavaggio del corpo, prima di chiamare Allah per portarlo nella mia stanza. Leggo alcuni versi del Corano e poi ringrazio Allah per la giornata che ho passato; gli chiedo di accettare il mio digiuno e di darmi il perdono per qualsiasi peccato, e prego per i miei familiari. 

E’ un’esperienza magnifica. 

Ma, allo stesso tempo, è dura non notare che qualcosa quest’anno è cambiato: di solito c’è molta più gente attorno a me, visto che spesso prego nelle Moschee. Qualche volta è possibile trovarsi insieme a centinaia di persone che pregano al tuo fianco e che poi interrompono il digiuno assieme a te. Nelle Moschee, tutti quanti sono contenti di vedersi, sentirsi, toccarsi e intraprendere conversazioni che possono andare avanti per ore e ore. Così, giorno dopo giorno, sto comprendendo meglio quanto i concetti di comunità e vicinanza sono andati perduti, nel Ramadan, quest’anno a causa della pandemia portata dal Covid-19. 

In particolare modo, mi manca la mia famiglia a New York, ora. Ci chiamiamo tramite FaceTime quando il sole cala, e questo aiuta un pò, ma non è la stessa cosa. E sicuramente non mi aiuta ad avere con me il cibo dell’Africa Subsahariana preparato in casa. Ogni sera, in queste videochiamate, la prima cosa che chiedo è sempre: “Che cosa state mangiando, ora?”

Quello che mi preparo io non ha paragone: di solito mangio qualcosa durante la videochiamata e, dopo quella, provo a fare un allenamento e poi faccio un altro piccolo pasto. A quel punto, di solito, si fa mezzanotte e mi piace riuscire a fare altri due pasti prima che il sole sorga. Qualche volta, mi sveglio prima che il sole si alzi per mangiare oppure sto alzato tutta la notte e gioco ai videogames, prima di dover digiunare ancora. 

Anche in questo momento, in cui sto scrivendo queste righe, sto digiunando: cerco, in pratica, di non guardare l’orologio e di togliere dalla mia mente il pensiero del mangiare (credetemi, non è stato facile scrivere del riso jollof qualche minuto fa!). 

Ma questo è qualcosa che ho scelto di fare: qualcosa che amo. 

Ora, non mento, non c’è un’altra via per me: qualche volta, quand’ero bambino, saltavo dei giorni di Ramadan. Non lo prendevo troppo seriamente e, quando nessuno guardava, mangiavo qualcosa, oppure non pregavo sempre quando avrei dovuto farlo. Ero solo un bambino che “faceva” il bambino, allora. Crescendo, ho capito che la mia fede è centrale nel mio processo di esistenza e che volevo essere più serio e dedito verso la mia religione e non potrei essere più felice. 

Ho sempre cercato di diventare la miglior persona possibile e questo mi ha portato a capire che la fede è una parte molto importante di questo processo. Sono orgoglioso di dire che sono diventato un Musulmano migliore negli ultimi anni: più dedito, più “connesso”. E questi sono i migliori anni della mia vita, per essere onesto. Amo essere un Musulmano e amo ogni aspetto della mia religione, specialmente il Ramadan. 

E anche se quest’anno è stato molto diverso rispetto al passato, è sempre un periodo meraviglioso: e, soprattutto, mi ha insegnato che non bisogna mai pensare che tutto sia sempre scontato. Che sia religione, famiglia o relazioni o semplicemente la possibilità di muoversi e uscire e divertirsi co gli amici: ci sono così tante cose, nella vita, che non dovrebbero essere prese per assodate. 

Hamidou Diallo