Bianchini e l’elogio della Nazionale italiana in regime del doppio straniero

Ancora Valerio Bianchini a illuminare il dibattito cestistico sulla questione Nazionale, rebus irrisolto… o forse no. Perchè c’è un riferimento importante che potrebbe suggerire la soluzione. Dalla pagina Facebook del Vate:

“Scurdammoce o’ passato!” invoca Belinelli a commento del fallimentare preolimpico azzurro, cercando di lenire in tal modo il grido di dolore di Gallinari di qualche settimana fa ( in sintesi: siamo una manica di pippe). Considerazioni fatte di getto che tuttavia sono le uniche pseudo-analisi fatte nel dopo débacle. Non ho letto analisi approfondite sulla stampa, né da parte dei giornalisti e neppure da parte dello staff tecnico che è rimasto in un lutto silenzioso. Come raccomandano gli psicologi un lutto va elaborato per essere superato. Ovvero darsi le ragioni della sconfitta e ripartire rialzando la testa.
Temo che questo comporti il coraggio di guardare in faccia la realtà. Né la gestione di Pianigiani, né per il momento quella di Messina sono riuscite a fare una squadra di un gruppo di giocatori. Un gruppo che nella retorica corrente era sempre un gruppo di amici, che stavano tanto bene assieme e che avevano tutti a cuore la maglia azzurra ma che, al momento della prova di essere squadra, si scioglieva come neve al sole. Nel momento della verità ultima le buone intenzioni lastricavano il nostro inferno. Spariva il passaggio in più, tremavano le mai ai tiri liberi, prevaleva il meneghino ” Ghe pensi mi ” sia tra gli indigeni che tra gli espatriati.
Il pubblico amico, le clip trionfalistiche di Sky erano diventati altrettanti pesi insopportabili per un gruppo che ancora una volta non era diventato “squadra”.
Giova ricordare che l’ultima “squadra” azzurra fu quella di Atene che era formata tutta da italiani cresciuti in regime di due soli stranieri, con nuclei di atleti stabili e costanti nel tempo. Giocatori abituati a prendersi le loro responsabilità. Se si vuole pensare un futuro per la Nazionale bisogna partire da questa verità. Ora la situazione è molto diversa e tuttavia all’interno di una nuova difficilissima realtà tecnica e psicologica non bisogna rinunciare a fare del gruppo degli Azzurri una vera nazionale. Ma non si può pensare di ottenere questo prezioso risultato al momento del raduno. Non bastano i successi politici di Petrucci con la Fiba, né lo spiegamento di un mega apparato di supporto e neppure lo straordinario sostegno del pubblico di Torino. Tutte cose dell’ultima ora e, a differenza della parabola evangelica, il basket non paga allo stesso modo gli operai dell’utima ora.