Pedrazzi vs Tanjevic, quando l’originalità è di casa

Fonte: Corriere dello Sport a cura di Werther Pedrazzi

Un esempio di brillante intervista in cui le domande semplici e dirette generano risposte schiette e mai banali. Werther Pedrazzi da una parte e Boscia Tanjevic dall’altra, a partire dall’idea dell’ex coach di Trieste di diventare Presidente di Lega.

Se fosse presidente?
«Se fossi? Sbagliato. Sarò… Taglierei il numero di stranieri, proponendo un gentleman agreement tra le società. Quattro stranieri bastano e avanzano, togliendo le società dalle mani degli agenti».

Progetto irrealizzabile?
«Sarà. Ma la domanda è sempre la stessa: a chi dai le chiavi di casa? A tuo figlio o al primo che passa per strada? Tutti gli squadroni di Eurolega hanno solide basi nazionali, prendete l’Olympiacos con Spanoulis, Printezis, Mantzaris, Papanikolau e Papapetrou. Ora, Milano avrà avuto le sue buone ragioni, ma perdere in 2 anni 3 giocatori come Hackett, Melli e Gentile…».

Il basket attuale?
«Aspettano tutti l’arrivo di Larry Wright… Chi è Larry Wright? Quello che ammazza tutti e torna da solo».

Il suo basket?
«Se risvegli l’anima del basket, trovi l’arte».

Oggi manca?
«Il sistema. È tutto. Costruzione della squadra. Visione del futuro. Regole nel club, insegnando l’umiltà: i più bravi sono le stelle polari per proteggere e indicare la via ai compagni. Riassumendo tutto in una parola: intensità. Volersi intensamente bene».

Classifica?
«Dejan Radonjic della Stella Rossa, Andrea Trinchieri del Bamberg, con la sua brillante capacità di convincere i giocatori, Dimitris Itoudis del Cska, che vince anche quando mancano le stelle Teodosic e De Colo, e Sito Alonso del Baskonia Vitoria… Lui, che una volta rincorsi e presi per il collarino a fine partita, perché non era venuto a salutarmi dopo la sconfitta del suo Badalona contro il mio Fenerbahçe».

La sua frase guida?
«Fare il bene senza un perché, a fondo perduto. Solo così si può guidare un gruppo di persone, non solo nel basket».

Il ricordo struggente?
«Ho visto un omone piangere come un bambino portando tra le braccia un altro uomo. Quando Oscar soccorse Mirza Delibasic colpito da ischemia».

Il ricordo emotivo?
“Sempre Oscar. Nel 2003 alla sua partita di addio al basket, giocata a Caserta, ogni volta che lui in mezzo al campo si commuoveva immediatamente, come da perfetta regia, partiva il coro dei 7 mila: “Ohi vita, ohi vita mia”…».