La Nazionale tra Sacchetti e Messina

Il basket italiano in questa stagione così difficile ? Non so perchè, letta la Gazzetta stamattina, con l’annuncio del ritorno di Messina, sulla panchina della nazionale, mi è venuto in mente Roberto Carlino, il signor Immobildream. Il suo slogan lo conosciamo quasi tutti, la versione del nostro sport è diversa: il basket vende sogni, non solide realtà.

Ovviamente, Petrucci ha il diritto di non rinnovare il contratto a Sacchetti, che pure aveva definito lo Zidane del basket, parlando di talento immagino, perché Meo è troppo buono e troppo una persona per bene per tirare una testata a chiunque. Petrucci, appena rieletto presidente, ha promesso, non minacciato, perché il suo stile è ben più pacato, quattro anni di rivoluzione. E li comincia chiamando Messina ? E’ come se io annunciassi che esco con Jennifer Aniston: bella intenzione, ma poco più. Mentre il gran capo del basket dovrebbe sapere chi è Messina oggi: presidente delle Basketball Operations dell’Armani, dunque datore di lavoro di se stesso, e per l’Ettore in panchina non deve essere nemmeno facile avere a che fare col Messina presidente, e dall’alto del secondo posto attuale in Eurolega è alla vigilia di una stagione che si annuncia da 68 partite di regular season, 34 in Europa e altrettante in Italia (ci torno tra un attimo). Ergo, pur bravo, bravissimo, con la sola pecca di essere grande, veramente grande amico mio, davvero Ettore è il primo interprete della rivoluzione ? No, tanto è vero che ha smentito tutto. Col risultato che adesso invece di chiamare Ct il nuovo allenatore della Nazionale lo dovremo definire quello col cerino in mano. Tra l’altro, nemmeno a ma va benissimo: anche stasera non esco con Jennifer Aniston.

Il basket ha bisogno di un progetto, non di un totem dietro al quale nascondersi. E io dovrei abbassare le mie pretese se non voglio restare con un cerino in mano. Ma torniamo appunto al progetto. Sappiamo che al termine della corrente stagione saranno bloccate le retrocessioni. Non lo diciamo apertamente perché, altro totem dietro a cui nascondiamo l’evidenza, e dietro a cui ci nascondiamo, non possiamo turbare l’equità competitiva. Basterebbe dire che l’anno prossimo, dopo due stagioni da incubo per colpa del Covid, con la terza che non sarà per niente facile perché nemmeno il prossimo campionato avrà il pubblico dall’inizio, di sicuro non avrà tutto quello che servirebbe alle società per dare una sistemata ai conti, e bisognerebbe semmai cominciare a studiare come far ritornare nei palasport gente che intanto si è abituata al divano con tv, tablet e altro, basterebbe dire che l’anno prossimo sarà in Serie A chi se lo può permettere.

L’idea di base è di arrivare a 18 squadre, ecco perché una regular season da 34 partite pure in Italia, pescate in A, in A2, ovunque, e non sarà uno scandalo se davvero le condizioni di ammissioni saranno rigide prima e controllate poi. In un basket del genere o hai seminato per anni, come la Spagna, e allora sì puoi avere un allenatore part time, dividendolo addirittura con l’Nba, oppure sei come l’Italia, alla vigilia o forse in una eterna rifondazione e allora devi mettere alla guida della Nazionale un allenatore a tempo pieno che giri come un matto, che sia ambasciatore del movimento, prima ancora che tecnico degli azzurri. Non per niente, l’ultimo risultato a cui ci aggrappiamo, è l’argento olimpico di Carlo Recalcati, preparato così, a tempo pieno, e svanito con una chiara raccomandazione sul futuro del basket azzurro che doveva essere irrobustito alla base e non semplicemente portato in sala trucco ogni volta annunciando l’arrivo della Nazionale più forte di sempre. Ecco perché mi è venuto in mente Roberto Carlino. Il basket vende sogni, non solide realtà.

Luca Corsolini