Le chiavi della partita contro la Fortitudo

Da: Il Piccolo a cura di Raffaele Baldini

Vestito lungo, ci prepariamo alla rappresentazione cestistica al “Madison” di Piazzale Azzarita, la Scala del basket. Forse sarebbe più opportuno presentarsi in jeans e maglietta, allineandoci allo spirito più verace e popolare dell’anima bolognese, fisiologicamente agli antipodi rispetto alle borghesi “Vù nere”.

 LA GOCCIA CINESE – Le squadre allenate da Matteo Boniciolli sono notoriamente dei moti perpetui che producono intensità e aggressività difensiva. Anche mentalmente i giocatori sono chiamati ad uno sforzo notevole, allenati all’autogestione per dirla alla Ettore Messina, dello stress partita. Il game-plan dell’Alma Trieste deve essere quello consueto, rimanere attaccati al match, possibilmente senza eccitare troppo l’ambiente, consumando fisicamente e psicologicamente il roster felsineo (peraltro privo di una pedina come Roberts). Come la goccia cinese, inesorabilmente a piccole dosi, per quaranta minuti.

PROVOCAZIONI D’AREA – Justin Knox dipinto come un po’ indolente in area pitturata, Luca Gandini sicuramente più arma difensiva che terminale offensivo e Mancinelli attento “gestore” di fine carriera, sono tre motivi per attaccare con decisione l’area fortitudina. Come? Non tanto dal gioco spalle a canestro (troppi giocatori simili), quanto attaccando il ferro con atleti quali Parks e Green partendo “faccia a canestro”.

SALUTE DEGLI ESTERNI – Il pericolo vero dell’Aquila è rappresentato dal reparto esterni: fresco, motivato (uno soprattutto, al secolo Michele Ruzzier), giovane e… di corsa. Ruzzier, Candi, Montano, Campogrande sono tantissima roba per un corrispettivo giuliano un po’ in difficoltà fisica; tanto delle fortune di Trieste passerà per la capacità di Pecile, Prandin (soprattutto) e soci di arginare la verve degli avversari. Imperativo: impedire la rapida transizione offensiva.

NON FINIRE NELLA… “FOSSA” – Silenziare la “Fossa” fortitudina è come pensare di togliere Barcola ai triestini…impossibile. Quello che è possibile è anestetizzare la propria testa di fronte a quel muro umano che tanto incide su una partita di pallacanestro. Certi giocatori traggono carica agonistica dal “tifo contro”, altri subiscono l’impatto. Mettiamola così, un giocatore capace di fare la propria pallacanestro in un clima del genere, passa l’esame di maturità verso il professionismo in senso assoluto.