Manu Ginobili, l’antidivo divenuto leggenda di Raffaele Baldini

Ci sono atleti che rimangono nell’immaginario collettivo degli appassionati perché identificano la propria pallacanestro giocata con peculiarità tecnico-atletiche, altri perché aggiungono un’eccentrica visione della vita, e altri ancora perché vendono benissimo il “prodotto”.

Manuel David “Manu” Ginòbili Maccari è il trionfo dell’uomo comune, il mancato diplomatico da Bahia Blanca che dai primi passi in quel di Reggio Calabria (sull’ennesima ispirata intuizione di uno scopritore di talenti unico come Gaetano Gebbia), ha costruito il fuoriclasse che ha appena dato l’addio alla Nazionale argentina.

La mia memoria fallace, ma viva di instantanee cestistiche, ricorda un magro, quasi spaesato “Manu” in maglia Viola al torneo estivo di Grado; tanto scetticismo su questo giovane prospetto ricacciato in gola  dopo una penetrazione sul fondo e un’affondata mancina. Qualsiasi “witness” dell’evento avrebbe scommesso anche la moglie (no, forse la posta per qualcuno può essere irrisoria… facciamo la macchina va) che l’argentino avrebbe sbarcato il lunario.

Attenzione, sicuri del futuro da campione ma non certo a tinte così forti come poi la carriera ha decretato; decisiva la costruzione di una mentalità vincente accresciuta in maglia Virtus, a fianco di altri fenomeni capaci di innalzare il grado di competitività. Un uomo al posto giusto nel momento giusto, le “Vu nere” che mettevano in riga le grandi d’Europa, hanno avuto nel mancino terribile il leader silenzioso, l’uomo che poi sarà il collante degli Spurs del sistema Popovich.

Soggetto di rara intelligenza ed equilibrio (per questo l’ho definito diplomatico mancato…), alla fortuna di aver avuto ambienti e timonieri illuminati ha abbinato una profonda dedizione per il lavoro; più perdeva i capelli in una calvizie che lo rendeva ancora più straordinariamente normale, più la sua pallacanestro declinava nuove sfumature tecniche per consolidare la leadership anche oltre oceano.

Imprescindibile… la parole che mi verrebbe da dire pensando a Ginobili in qualsiasi squadra di basket; l’addio alla Nazionale argentina, fra le lacrime, ha giustamente decretato la fine di un’era di “fratelli” vincenti, quella dei vari Oberto, Nocioni, Prigioni e prossimamente Scola, Delfino, ecc. E’ l’inizio di una lunga passerella che vedrà i titoli di coda dopo l’esperienza lunghissima ai San Antonio Spurs (quattordicesimo anno appena passato), facendolo entrare doverosamente fra gli immortali della pallacanestro mondiale.

E’ fantastico ritrovare un campionissimo esattamente come lo lasciammo in maglia Viola (un po’ meno spaesato va…); la certezza di rivederlo in qualche veste istituzionale per mettere a frutto le sue esperienze e la sua intelligenza rasserena i più emotivi, consci però che il vuoto tecnico che ne deriverà non potrà essere colmato facilmente.

Non facciamoci troppo del male prima del tempo, l’addio di Duncan ha già ferito la nostra anima romantica…godiamoci le pennellate dell’ultimo “Manu” Ginobili, l’ultimo giro di tango rappresentato come il migliore Bea Diez.

Raffaele Baldini (www.cinquealto.com)